
Alle porte della grande Milano che con il suo sindaco e la sua giunta si dichiara la città green di riferimento per il Paese intero, sono a rischio di andare in fumo 64,5 ettari di parco. Green un corno. O, meglio, green da solo non ha nessun senso perché non ci si mette in testa che il verde non è quello appeso ai balconi di grattacieli per ricchi o qualche metro quadrato rinverdito per farsi un selfie preelettorale e nemmeno quello di qualche migliaia di alberi piantati qua e là più per farsi pubblicità che per capire come funziona la natura.
Spieghiamolo a questi decisori che decidono senza sapere: a “loro insaputa”, come quel tizio che comprava case nel centro di Roma. Allora: il green non esiste. Esiste solo la combinazione piante e suolo. Ok? Basta con questo marketing del verde per poi tradirlo alla prima occasione. Basta con queste forestazioni urbane che suonano da pre-verdissement per poi cementare. Basta con le forestazioni se non c’è un patto sulla tutela dei suoli, sul togliere aree edificabili dalla pancia piena dei piani urbanistici dei Comuni. Basta padrini e madrine politiche che non lottano per una legge contro il consumo di suolo ma si accontentano di salvare il loro orticello o di dirci che bisogna fare compromessi e mediazioni. O che ci sono altre urgenze e così via.
La vicenda, per chi ancora non la sa, è semplice. Semplicemente orribile ma normale nella testa di investitori e politici. In piena area a parco agricolo, che cinge Milano facendola respirare, in un piccolo Comune non casuale, Carpiano, quella giunta assieme a un colosso della realizzazione di capannoni immensi per la logistica (Akno) si sono resi responsabili di una proposta di nuovo polo logistico in aree agricole (che probabilmente hanno comprato nei mesi scorsi e sarebbe curioso sapere come) per la bellezza di 64,5 ettari. Un record: il 7% del consumo di suolo regionale annuale in un colpo solo.
Sono giustamente insorte tutte le associazioni e soprattutto tutti i comitati milanesi lombardi e spero si aggiungano tutti quelli italiani. Ma la cosa più assurda dolorosa e raccapricciante non è la manciatina di milioni di euro che viene proposta al Comune per accettare la cosa ma il fatto che quel Comune e un assessore di quella giunta (Giorgio Mantoan) erano e sono parte del progetto Forestami che, per chi non lo sa, è quella iniziativa di cui la giunta milanese va un pochino fiera (ma non troppo, intendiamoci) consistente nel piantare alberi nella città metropolitana per compensare emissioni di CO2.
Quindi chi è sul tavolo politico del progetto Forestami coincide con chi ha dato l’ok o non si è opposto a questo folle (per il suolo, il paesaggio, l’agricoltura, il clima) progetto logistico di consumo di suolo.
È chiara la contraddizione? Ovviamente chi ha contribuito alla decisione e siede al tavolo scientifico di Forestami non si scandalizza. Nessuna vergogna. Nessun senso di colpa. Tutto normale. E questo lascia senza fiato. D’altronde sono previste compensazioni che magari nella loro testa significano altri alberi da piantare e quindi raggiungimento dell’obiettivo del marketing green di Forestami. Per chi non sa nulla di ecosistemi, dividere gli alberi dal suolo è normale. Perfino un’opportunità. Decidere di cementificare 64,5 ettari in cambio di cinque milioni di euro all’ente Parco e quattro al Comune per interventi ambientali probabilmente vien vista come una grande operazione green che richiede un necessario sacrificio.
Perché non sanno vedere. Non hanno la cultura ecologica per capire che stanno autorizzando un disastro. Che peraltro si aggiunge alla decisione di fare un altro polo logistico alle porte di Milano (Rubattino) e a tante altre. Ma come è possibile tutto ciò? Qualcuno dice che per un piccolo Comune come Carpiano, con il bilancio alla canna del gas, è difficile dire di no. Non ci credo se avessero cultura non dilettantistica in materia ecologica (citando Norberto Bobbio) ma comunque credo ancora meno che una trasformazione cosi gigante non sia arrivata all’orecchio del sindaco di Milano che è anche, ricordiamolo, sindaco metropolitano (che mai si è intestato una battaglia politica nazionale per una legge contro il consumo di suolo). Chissà se chiarirà questa cosa.
Ma lo scandalo peggiore è quello di vedere questo consumo di suolo portato in mano da un assessore (di Carpiano) che avrebbe dovuto essere il primo a ostacolarlo dato il suo impegno nel board metropolitano del progetto Forestami. Questo è terribile e di nuovo apre a una vera e propria questione morale e di cultura ecologica e politica. Questo dimostra che non basta affatto essere un politico per capire le questioni. Non basta appartenere a un board politico per capire la questione. Non basta essere nominati. Non basta il luccichio green di un progetto come Forestami che alla fine, se andrà avanti questa cementificazione (ma chissà quante altre più piccole che non conosciamo: Milano stessa ha consumato quasi 19 ettari nel 2021 ed è il “capo” di Forestami), dovremmo convincerci che è solo un progetto greenwashing per oliare la macchina della rendita immobiliare (ed è tristissimo anche questo).
Quel che serve è una classe ecologica che giunga da una conoscenza approfondita e precisa dei temi e delle cose di natura. I politici devono studiare. E noi più di loro. Bene fanno le oltre 50 tra associazioni e comitati a opporsi a questa decisione ma questa vicenda ci insegna anche altro: abbiamo urgenza di un ambientalismo preventivo e colto, che non vive più e solo di opposizioni e ricorsi ma di attivismo popolare e vigilanza anzitempo sulla formazione di leggi, regolamenti, piani, curriculum ecologici dei politici, azioni di centri di ricerca e di Università e universitari (in questa vicenda mi duole da morire c’è anche lo zampino di un universitario e la cosa apre una ulteriore riflessione nella riflessione rivolta alla deontologia della classe a cui appartengo anche io).
Occorre formazione ecologica in politica. Non possiamo permetterci assessori ecologicamente ignoranti che non sanno che cosa sia il suolo o che si accontentano di piantare quattro alberi senza sapere che cosa sia la terra in cui sono piantati o come funzioni la cattura di CO2, ragione per la quale li piantano. Altrimenti rimarranno vandali in casa nostra, attivi nella distruzione della natura ma con la spocchia di dirci che loro la difendono (ho usato titoli di opere di meravigliosa denuncia di Antonio Cederna) .
In questo senso, “vista e considerata l’incommensurabile ignoranza nella quale viviamo rispetto a ciò che significa abitare una terra che reagisce alle nostre azioni, serve ancora più ricerca e ancora più fondamentale”. E indipendente, aggiungo al virgolettato di Bruno Latour. Grazie a chi si opporrà con quel che sa fare. Grazie a chi dirà pubblicamente da che parte vuole stare. E impariamo a non fidarsi a prescindere di chi ci parla di green. Piuttosto studiamo tanto di ecologia e interroghiamo i politici fino a sfinirli, fino a portarli a vergognarsi di come pensano e di quel che decidono (e facciamolo anche con i loro consulenti, ricercatori o professionisti non fa differenza). Dipende da noi, da chi di noi che conosce non dilettantisticamente la natura e può dare voce a ciò che voce non ha. Dipende da noi spiegare da che cosa dipendiamo. Perché “Se non si sa da cosa si dipende, come si fa a sapere cosa bisogna difendere?” (Bruno Latour).
Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022)
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Fonte: Altreconomia – https://altreconomia.it/la-milano-green-cementifica-il-suo-parco-agricolo-645-ettari-a-rischio-ancora-per-la-logistica/